Tornato da un viaggio emozionante Samuele, uno dei nostri affezionati clienti, ci racconta della sua esperienza:
Grazie a Scout Coop si è finalmente compiuto un sogno: raggiungere il campo base dell’Everest!
Andare sull’Himalaya, alle pendici del tetto del mondo è stata veramente una cosa suggestiva ed inesplicabile. La fatica, le persone incontrate, i paesaggi, i compagni di viaggio con i quali ho avuto il piacere di condividere questa esperienza sono solo alcune delle emozioni che mi porterò nel cuore da ora in avanti.
Quello che reputo più opportuno è fare parlare le foto per me, che sicuramente meglio di qualsiasi parola riescono a descrivere le sensazioni provate in quei giorni passati tra i giganti del mondo. Se, come spero, anche voi rimarrete colpiti da queste immagini, quello che posso invitarvi a fare è di non limitarvi a vedere queste foto, ma ad osservarle provando ad immedesimarvi, immergendovi completamente… il soffio del vento, il muggito di uno Yak in lontananza, l’aquila che volteggia sopra le vostre teste e il rumore di passi di qualche altro trekker dietro di voi.
Il sogno di vedere coi miei occhi il Nepal è nato qualche anno fa leggendo proprio alcune righe come queste su un articolo online che parlava di questo paese non al centro dei riflettori ma che custodiva al suo interno così tanta bellezza; quindi perché non raccontare qualcosa di più nella speranza che magari qualcuno di voi lettori tra qualche tempo possa imbarcarsi alla volta di questo trekking che in una dozzina di giorni vi porterà a toccare le pendici del monte Everest?
Il viaggio parte da un piccolo aeroporto a 4 ore di distanza dalla capitale di Kathmandu. Non immaginatevi un viaggio in autostrada veloce e diretto, già da qui si può capire quanta poca pianura vi sia in Nepal. Il nostro volo è breve, circa una ventina di minuti e mentre si è in aria finalmente si intravedono per la prima volta le montagne dove ci stiamo recando. La destinazione del volo è il paesino di Lukla a circa 2800 metri di altitudine. Questo aeroporto è conosciuto come uno dei più pericolosi al mondo vista la sua altezza e la piccola pista d’atterraggio ed il personale di bordo è specializzato per questa specifica tratta.
Già qui si capisce come l’uomo inizi ad essere davvero piccolo, sia perché si atterra tra paesaggi dove tutto sembra (e probabilmente) è più grande rispetto a quello a cui siamo abituati, sia perché la decisione di quando (e se) volare non è dettata dagli orari prestabiliti, ma dalle condizioni atmosferiche – Qui il primo consiglio per chi volesse andare a fare questo trekking: tenetevi dei giorni di scarto poiché se non ci sono le condizioni per volare, bisogna aspettare che queste migliorino, oppure impiegare altri 4 giorni (2 a piedi e 2 in auto) per tornare nella capitale.
Nel parco naturale di Khumbu, dove si snoda il nostro sentiero, non si può accedere se non accompagnati da guide locali, questo sia per una questione di sicurezza che di tutela dell’ambiente. Queste sono veramente brave nel seguire e tenere il gruppo di trekkers, oltre che essere molto disponibili a qualsiasi domanda. Il cammino risulterà sicuramente più leggero con loro al vostro fianco.
Si avanza uniti e si cerca un passo comune tra il gruppo appena creatosi. Questa prima parte risulta veramente importante per studiarsi a vicenda ed incominciare a conoscersi. Una prima parte svolta nel migliore dei modi da parte di tutti evita frizioni successive lungo il cammino. Il dislivello giornaliero si attesta sempre tra i 400 e gli 800 metri. Per qualcuno può sembrare tanto, per altri poco, ma nel primo pomeriggio si arriva tutti alla località prestabilita e si ha tempo per riposarsi – Questo dislivello permette di abituarsi al cambiamento di altitudine in maniera graduale, senza strappi. Quando l’altitudine inizia a farsi importante, ovvero intorno ai 3500 e 4500 metri, un giorno viene dedicato all’acclimatamento, con escursioni locali per non perdere il ritmo. Per qualcuno potrà essere scontato, per altri no, ma man mano che ci si alza di quota, le comodità iniziano a diventare sempre meno ed i prezzi sempre più alti. Potrà sembrare strano inizialmente, abituati alla logica del “più pago e più il servizio è di qualità”, ma percorrendo i sentieri, si potrà immediatamente comprendere questa nuova logica di mercato.
Tutto quello che troverete al vostro arrivo, sarà stato portato su nel migliore dei casi da un mulo o da uno yak, altrimenti a spalla da uno dei tantissimi “porter” (letteralmente coloro che portano) che incontrerete lungo la strada. Questi uomini sono veramente il cuore pulsante di queste regioni, o meglio il sangue vitale che scorre sui sentieri che a loro volta sembrano vene arteriose che portano nutrimento a chiunque viva su queste montagne. Come formiche laboriose sono capaci di caricarsi ingenti chili sulla schiena e superarvi andando molto più veloci di voi, sia in discesa che in salita.
Veramente incredibile!
L’ambiente e la vegetazione cambia anch’essa giorno dopo giorno, ma non in maniera repentina. Dagli alberi ad alto fusto ed orti locali, si passa sempre più ad un paesaggio simile a quello delle steppe, con al massimo qualche cespuglio e praterie per il bestiame, fino ad arrivare ad un terreno polveroso e roccioso dove nel canale di fianco si snoda un lungo ghiacciaio permanente. Ecco lì, dopo avere attraversato tutti questi diversi ambienti, si giunge finalmente al Campo Base dell’Everest, il Base Camp più conosciuto al mondo ad oltre 5300 metri di altezza.
Non esagero nel dire che ho visto persone commuoversi arrivando lì.
Per qualcuno il raggiungimento di un sogno, per altri l’avere dimostrato di potere andare oltre i propri limiti, per qualcun altro uno sforzo oltre le proprie possibilità, ripagato con la discesa in elicottero. Devo dire che la gioia per avere raggiunto quel posto lascia presto lo spazio allo stupore a pensare a quante spedizioni sono partite da lì per raggiungere la cima, a quanti film si sono ispirati a quella montagna e a quante vite, quelle montagne, si sono prese.
Il viaggio all’Everest Base Camp è stato per me una esperienza alla scoperta di un luogo molto rinomato e di un popolo poco conosciuto; è stato un percorso tra sudore e sorrisi; un cammino tra amici e sconosciuti; un tour tra avventura e memoria. Una perfetta combinazione di opposti che, come mi è stato spiegato qualche giorno dopo al rientro a Kathmandu, è la stessa combinazione sulla quale si regge la religione Induista praticata in quelle aree…. vita e morte… gioia e dolore… anima e corpo.
Posso concludere dicendo che più di ogni altra cosa il cammino verso il Base Camp è sicuramente un percorso fisico ma soprattutto interiore. Uno di quei cammini che, ancora una volta, ti insegnano quanto sia importante affrontare la vita un passo dopo l’altro, con i tuoi momenti di alti e di bassi e con le tue pause di riflessione.
Questo, voglio nuovamente sottolinearlo, è stata la mia esperienza ma, sono sicuro che chiunque di voi che partirà alla volta dell’EBC, troverà qualcosa di simile e diverso da quanto racconto… qualcosa di proprio, unico ed inimitabile.
Troverà la propria esperienza!
E allora non mi resta che augurarvi buon viaggio e salutare queste terre.
NAMASTE NEPAL
NAMASTE EVEREST BASE CAMP
Samuele
Fra gli articoli in dotazione Zaino Ferrino Finisterre 48, Scarpone La Sportiva TX5 Gtx
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